martedì 28 giugno 2011

67. Paradosso dei Gemelli

L'apparente contraddizione del Paradosso consiste nel considerare l’evoluzione temporale di 2 Gemelli, di cui uno decide di partire per un viaggio interstellare mentre l’altro rimane sulla Terra ad attenderlo.
Per quanto previsto dalla Relatività Ristretta di Albert Einstein, ognuno dei  2 sistemi inerziali in moto uniforme, vede il tempo dell’altro sistema dilatato, cioè gli orologi risultano rallentati.

Nell’esempio riportato in Wikipedia: Paradosso dei gemelli, nell’anno 3000 un’astronave parte per un viaggio sino a Wolf 359, una stella nana rossa situata nella costellazione del Leone a 7,8 anni luce dalla Terra; nell'Universo di Star Trek a Wolf 359 si combatte una fra le maggiori battaglie fra la Federazione Unita dei Pianeti e i Borg.   Si suppone che la velocità relativa sia:
       v = 240.000 km/s  (cioè v = 0,8 c).        Per questa velocità si ha:

per cui, secondo la teoria della Relatività Ristretta, nel sistema in movimento il tempo scorre al 60% del tempo nel sistema in quiete. Quindi:

1)         nel sistema di riferimento della Terra, l'astronave percorre 8 anni luce in 10 anni nel viaggio di andata, e ne impiega altrettanti nel viaggio di ritorno: essa quindi ritorna sulla Terra nel 3020.
Sull'astronave, però, il tempo scorre al 60% del tempo della Terra, quindi secondo l'orologio dell'astronauta il viaggio dura 6 anni per l'andata e altrettanti per il ritorno: all'arrivo, quindi, il calendario dell'astronave segna l'anno 3012. Il fratello rimasto sulla Terra è perciò, dopo il viaggio, di 8 anni più vecchio del suo gemello;

2)         nel sistema di riferimento dell'astronave, per effetto della contrazione relativistica delle lunghezze, la distanza fra la Terra e Wolf 359 si accorcia al 60%, cioè a 4,8 anni luce: alla velocità di 0,8 c, si impiegano quindi, secondo l'orologio dell'astronave, 6 anni per l'andata e 6 per il ritorno, coerentemente con quanto calcolato nel sistema di riferimento della Terra. Ma, poiché in questo sistema di riferimento è la Terra a muoversi, è il suo orologio che va al 60% del tempo dell'astronave: quando l'astronave fa ritorno, sulla Terra sono trascorsi solo 7,2 anni, perciò non è l'anno 3020, ma il 3007, ed è il fratello a bordo dell'astronave ad essere di 4,8 anni più vecchio.

Esistono differenti maniere di risolvere il paradosso, che portano comunque allo stesso risultato, il migliore consiste nell’utilizzare una teoria che non richieda particolari sistemi di riferimento.
Nella teoria della Relatività Generale, tutti i sistemi di riferimento, non solo quelli inerziali, sono ugualmente validi.

Quello che si deve considerare però e’ che l’osservatore sull'astronave, nel momento in cui essa inverte la rotta, avverte un'accelerazione. Nel sistema di riferimento della Terra, si tratta dell'accelerazione che l'astronave sperimenta nel mutare la sua velocità da v a -v; nel sistema di riferimento dell'astronave, essa viene avvertita come un'accelerazione di gravità.

Ora, la Relatività Generale prevede che quanto più intensa è l'accelerazione che un osservatore avverte, tanto più il suo orologio rallenta (red-shift gravitazionale). Durante la fase di accelerazione, quindi, l'osservatore sull'astronave vede l'orologio sulla Terra andare molto più veloce del suo: si può calcolare che in questo tratto l'osservatore "recupera" il tempo perso nei tratti di moto uniforme, e il tempo totale corrisponde a quello Terrestre calcolato nell'altro sistema di riferimento.

Nel libro: “Hermann Bondi, La relatività e il senso comune, Zanichelli, 1965” il paradosso viene così descritto: “… ogni osservatore ha misurato il proprio tempo, e non c’e’ ragione di credere che i due debbano coincidere; non c’e’ tempo universale, perché il tempo e’ una quantità che e’ dipendente dal percorso.
La situazione e’ completamente analoga a quella che si ha viaggiando da una città ad un’altra. La via più breve e’ quella rettilinea; se qualcuno percorre una lunga strada, composta di due tratti rettilinei congiunti da una curva corta e repentina, costui coprirà un percorso più lungo perché nella sua strada c’e’ una curva; ma i chilometri in più non sono nella curva, sono bensì dovuti ad essa.
 … C’e’ un solo modo per andare dal primo incontro all’ultimo senza accelerazione, ed e’ il modo inerziale di viaggiare usato dal gemello sulla Terra. Ogni altro modo di andare dal primo all’ultimo incontro implica delle accelerazioni, e ciò significa che il tempo registrato da un tale osservatore e’ inferiore al tempo misurato da quello inerziale.”

Nota: il fatto che nel caso della strada la linea piu’ breve sia la linea retta, mentre per l’osservatore a riposo il tempo piu’ lungo sia la linea retta (geodetica), e’ perché per una geometria bidimensionale la metrica ha segnatura ( + + ), mentre lo spaziotempo quadridimensionale ha segnatura ( + - - - ), cioè le componenti temporale e spaziali hanno segno opposto.

Per chi volesse approfondire si può vedere che per una particella lenta in un campo debole, il coefficiente g00 della metrica deve avere la forma:
 

dove j e’ il potenziale gravitazionale di Newton.
Il tempo proprio dt e’ diverso dal tempo universale dt ; per una particella immobile in un campo gravitazionale si ottiene:
 
 
Dato che si ha sempre j £, in un campo gravitazionale gli orologi risultano rallentati.
Nell’esempio precedente, per invertire la sua velocità da v a –v, con un’accelerazione dell’ordine di quella terrestre, l’astronave impiegherebbe un tempo di circa 1 anno.
Durante questo periodo il gemello sull’astronave vedrebbe l’orologio terrestre muoversi tanto più velocemente quanto maggiori sono la distanza dei 2 sistemi di riferimento ed il campo gravitazionale avvertito dall’astronauta.

L. D. Landau, E. M. Lifsits, Teoria dei Campi, Editori Riuniti, Edizioni Mir, 1976
B.A. Dubrovin et al., Geometria contemporanea I, Editori Riuniti, 1987
Steven Weinberg, Gravitation and Cosmology, J.Wiley, 1972

giovedì 16 giugno 2011

66. Indeterminazione

« Quando (Pauli) mi lasciò mi raccomandò come suo successore il suo amico Heisenberg, che pure veniva dalla scuola di Sommerfeld a Monaco e non era meno di lui “enfant prodige”. … Quando arrivò a Gottinga (deve essere stato nell’ottobre del 1923) aveva l’aspetto semplice di un ragazzo di campagna, con i capelli biondi tagliati corti, gli occhi chiari e brillanti e un’espressione attraente. I suoi doveri di assistente li prese più seriamente di Pauli e mi fu di grande aiuto.
« Max Born e’ stato un fisico teorico di primo piano, nato nel 1882 a Breslavia, da famiglia ebraica, divenne professore all’Università’ di Gottinga ove contribuì a creare uno dei maggiori centri di fisica teorica del mondo. Nel 1933 dovette abbandonare la Germania in seguito all’avvento del nazismo; emigrò in Inghilterra, ove fu nominato professore di fisica teorica all’Università’ di Edimburgo e  ove rimase fino alla fine dell’anno accademico 1952-53, quando andò a riposo. L’anno dopo, nel 1954, Born ricevette il Premio Nobel per la fisicaper le sue fondamentali ricerche sulla meccanica quantistica, in particolare per la sua interpretazione statistica della funzione d’onda
Il libro pubblicato come: Autobiografia di un fisico, fu scritto da Max Born per i suoi figli e nipoti, ma, fortunatamente, il figlio Gustav ha provveduto, con un poscritto, a completare la biografia lasciata incompiuta dal padre, e a curarne la stampa. »
                                                                 dall’introduzione al libro di Edoardo Amaldi
  Nel capitolo XIX. La meccanica quantistica, Born ricorda:
… Alla fine del primo semestre passato a Gottinga, Heisenberg, tornò a Monaco per sostenere gli esami orali, spesso definiti “colloquio” a causa del loro carattere informale e cortese. In realtà non era successo quasi mai che una persona la cui tesi fosse stata considerata soddisfacente venisse respinta a causa dell’esame orale. Perciò Heisenberg partì a cuor leggero, promettendo di far ritorno dopo le vacanze di Pasqua per riprendere il suo lavoro di assistente.
Rimasi perciò non poco stupito quando un giorno me lo vidi apparire davanti con una espressione imbarazzata sul volto. “Non so se vuole tenermi ancora con sé ”, mi disse, e poi mi spiegò che per poco non era stato bocciato. Questa catastrofe era dovuta al fatto che in quel periodo non era molto interessato al lavoro sperimentale, ed aveva seguito i corsi di laboratorio in modo talmente negligente che il professore, il grande Willy Wien, se n’era accorto. Perciò al colloquio Wien gli aveva rivolto alcune domande dettagliate sulle tecniche sperimentali, domande alle quali Heisenberg non aveva saputo rispondere, …
E adesso era qui davanti a me, che metteva il suo destino nelle mie mani. Io gli dissi: “Vediamo quali sono queste terribili domande”. Effettivamente erano piuttosto complicate. Perciò non vidi alcuna ragione per mandarlo via – in realtà ero del tutto fiducioso nelle eccezionali capacità di Heisenberg.
L’aspetto veramente ironico di questo piccolo episodio venne alla luce appena pochi anni dopo, quando Heisenberg scoprì il suo famoso principio di indeterminazione: infatti una delle domande di Wien riguardava il potere risolutivo degli strumenti ottici, dovuto alla lunghezza d’onda finita. Ora si sa benissimo che la formula  Dp Dq ~ h  che esprime la relazione d’indeterminazione tra la coordinata q e l’impulso p non e’ altro che la traduzione nel “linguaggio particellare” della formula ottica  Da ~ l  che collega la risoluzione geometrica  Da  alla lunghezza d’onda l   (usando la relazione di  de Broglie 
l ~ h/p  ).  Heisenberg era stato abbastanza coscienzioso da andarsi a rivedere tutte le domande alle quali non aveva risposto, e tra queste quella sul potere risolutivo l’aveva colpito come una cosa fondamentale.  Perciò quando i tempi furono maturi se n’era ricordato ed il risultato fu quel principio che ha reso il suo nome famoso non solo nella fisica, ma anche nella filosofia. »

     Max Born,  Autobiografia di un fisico,  Editori Riuniti, 1980

domenica 12 giugno 2011

65. Numeri Normali

In matematica, un Numero Normale e’ un numero reale per il quale, nel suo sviluppo in una data base, le cifre e le successioni finite di cifre appaiono tutte con la stessa frequenza.

Il concetto di numero normale fu introdotto da Émile Borel nel 1909.
Il primo esempio di numero normale fu trovato da Wacław Sierpiński nel 1917

Per la legge forte dei grandi numeri quasi tutti  i numeri reali sono normali in ogni base.

Non e’ stato ancora dimostrato che  p  sia normale, ma le verifiche effettuate, sulle cifre ad oggi conosciute, sembrano confermare questa ipotesi.
Questo implica che qualunque successione finita di numeri potrà essere trovata, infinite volte, in qualche parte del numero.

Il primo sito che permette di trovare una sequenza all’interno di p e’ stato: http://www.angio.net/pi/piquery  
che cerca in modo molto efficiente entro le prime 200 milioni di cifre.

http://gc3.net84.net/pi.htm  cerca invece una data di nascita nel primo miliardo …

Ed infine http://www.subidiom.com/pi/  consente di cercare una sequenza nei primi 2 miliardi di cifre, per p, la costante di Nepero e oppure la radice quadrata di 2.

Come esempio si può cercare la stringa numerica  123456789 :


The numeric string 123456789 appears at the 523,551,502nd decimal digit of Pi.

7260489917323889207212345678922486448188070486710
                                   ^ <-- 523,551,502nd digit



The numeric string 123456789 appears at the 411,775,954th decimal digit of E.

7294264453329232091912345678925159705286602847867
                                   ^ <-- 411,775,954th digit


The numeric string 123456789 appears at the 864,106,289th decimal digit of the Square Root of 2.

6956872813669518107012345678939418936233331969934
                                   ^ <-- 864,106,289th digit


http://www.askamathematician.com/?p=177
http://en.wikipedia.org/wiki/Normal_number
http://mathworld.wolfram.com/NormalNumber.html
http://www.glyc.dc.uba.ar/santiago/papers/absnor.pdf
.
3.1415926535897932384626433832795028841971693993751058
2097494459230781640628620899862803482534211706798214808651328230664709384460
9550582231725359408128481117450284102701938521105559644622948954930381964428810975665
9334461284756482337867831652712019091456485669234603486104543266482133936072602491412737245870066
063155881748815209209628292540917153643678925903600113305305488204665213841469519415116094330572703
657595919530921861173819326117931051185480744623799627495673518857527248912279381830119491298336733
624406566430860213949463952247371907021798609437027705392171762931767523846748184676694051320005681
271452635608277857713427577896091736371787214684409012249534301465495853710507922796892589235420199
561121290219608640344181598136297747713099605187072113499999983729780499510597317328160963185950244
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sabato 4 giugno 2011

64. Transiti

Si ha un transito ogniqualvolta un pianeta si interpone tra un osservatore ed il Sole.
Dalla Terra si possono osservare i transiti dei pianeti più interni Mercurio e Venere.

I transiti di Venere avvengono solo a giugno e a dicembre, mentre prima del 1631 essi avvenivano a maggio e novembre.
La periodicità segue un ciclo di   8   105,5   8   121,5   anni.

1518  1526  1631  1639  1761  1769  1874  1882  2004  2012  2117  2125  2247

Il 2012 sarà l'ultima occasione di osservare il transito di Venere in questo secolo.

Il transito di Mercurio avviene molto più frequentemente rispetto al transito di Venere, con circa 13 o 14 eventi per secolo, anche perché Mercurio è più vicino al Sole e orbita con maggiore velocità.

I transiti possono avvenire in maggio o novembre e mentre questi ultimi hanno periodi di 7, 13 o 33 anni, quelli di maggio avvengono solo ad intervalli di 13 o 33 anni. Gli ultimi tre transiti sono avvenuti nel 1999, 2003 e 2006; per i prossimi si dovrà attendere il 2016, 2019 e 2032.
Il transito simultaneo di Mercurio e di Venere è un evento estremamente raro: avverrà negli anni 69163 e 224508.

Nel sito Ulisse (della SISSA) Giuseppe Mussardo racconta l’avventura di Guillaume Joseph Hyacinthe Jean-Baptiste Le Gentil de la Galaisière, astronomo dell’Academie Royale des Sciences di Parigi:  
“Nato nel 1725, fino al 1760 la vita di Guillame Le Gentil era stata serena e felice: si era sposato, aveva avuto dei figli, Ma i guai cominciarono nel marzo del 1760, quando, salutati i figli e abbracciata la moglie, carico di telescopi, sestanti, quadranti, bussole e orologi, si imbarcò alla volta di Pondichery, città di dominio francese lungo la costa dell’India. Scopo del viaggio era osservare il transito di Venere – previsto per il 6 giugno 1761 — stando però dall’altra parte del mondo, proprio come suggerito da Edmund Halley. Il viaggio nell’Atlantico e nell’Oceano Indiano procedette senza molti intoppi ma lo attendeva però una grande sorpresa: una volta giunto all’Ile de Maurice, dove la nave fece scalo nel luglio del 1760, apprese, infatti, che Pondichery era assediata dagli inglesi e pertanto irraggiungibile. Seguirono mesi di grande incertezza: Le Gentil cercò inizialmente di cambiare i suoi piani, scegliendo l’isola di Rodrigues come nuovo punto d’osservazione, ma nel marzo del 1761 sposò infine l’idea del governatore dell’Ile de Maurice di imbarcarsi su una nave militare mandata in soccorso a Pondichery. Infatti, gli fu assicurato che, malgrado i venti contrari, sarebbe giunto in tempo sulle coste indiane per osservare il transito della sua amata Venere.
Non andò proprio così: dopo i primi giorni di navigazione, la nave fu spinta inesorabilmente verso le coste dell’Arabia e qui si apprese, inoltre, che Pondichery era capitolata. L’ordine fu allora quello di rientrare immediatamente all’Ile de Maurice, contro tutte le insistenze di Le Gentil di voler raggiungere comunque le coste indiane. Assistette così, impotente, al transito di Venere dal ponte della nave, gli occhi rivolti al cielo ma senza la possibilità di fare una misura di una qualche utilità astronomica. Come un amante premuroso, decise però di aspettare pazientemente il nuovo passaggio di quella dea così dispettosa.
In fondo si trattava solo di 8 anni...
Passò il tempo facendo osservazioni cartografiche e naturalistiche nell’Ile de Maurice e nel Madagascar, osservandone le piante, studiando tutti quegli animali così strani.
Nel maggio del 1766 decise infine di partire alla volta di Manila, nelle Filippine, un posto altrettanto buono, pensò, per osservare il transito di Venere. Ma una volta giunto a destinazione, capì subito che si era sbagliato: le condizioni climatiche non erano delle migliori e poi, a complicare le cose, ci si metteva pure il governatore di Manila, non proprio un amicone dei francesi.
Ripartì alla volta di Pondichery, ritornata nel frattempo sotto il controllo francese. La navigazione nei mari della Cina fu burrascosa, dovette fare pure scalo a Malacca, ma giunse infine nel marzo 1768 nella città indiana, in largo anticipo all’appuntamento con la sua Venere. L’accoglienza fu delle migliori: in attesa dell’incontro imparò la lingua locale e studiò l’astronomia indiana. Allestì con cura la stazione osservativa, ripulì amorevolmente i suoi telescopi, tarò i suoi orologi, calibrò tutti i suoi sestanti. Il tempo era splendido, le notti incantevoli. Ma il giorno tanto atteso, il 3 giugno 1769, ecco il più perfido dei dispetti, una nuvola – grande, grigia, carica di pioggia – stesa come un’enorme benda su tutto il cielo! Venere gli era sfuggita un’altra volta, questa volta per sempre...
Le Gentil impazzì per la disperazione, vagò per un anno tra i villaggi dell’India come in preda al delirio, non riusciva a capacitarsi della perfida crudeltà del suo destino. Non diede più notizie di se. In un momento di lucidità, decise finalmente di ritornare a casa: dopo un lungo viaggio in mare, sbarcò sulle coste spagnole e qui, a piedi, attraversò i Pirenei. Giunse infine a Parigi nel dicembre del 1771.
Le sorprese non erano però finite: creduto morto, il suo posto all’Accademia era stato assegnato ad un altro astronomo, la moglie si era risposata e tutti i suoi averi erano stati spartiti in varie eredità. Pirandello non avrebbe potuto pensare trama migliore del suo “Il fu Mattia Pascal”: dovette affrontare un processo per provare di essere di essere vivo, di essere Guillaume Joseph Hyacinthe Jean-Baptiste Le Gentil de la Galaisière, astronomo dell’Academie Royale des Sciences di Parigi. La moglie non tornò, ma lui ebbe indietro almeno parte dei suoi averi. Le donne sono crudeli, pensò, ma non esitò un attimo a dedicare a Hortense Lepaute, la giovane astronoma dell’Osservatoire, quel fiore sconosciuto e bellissimo portato dalle Indie:  l’ortensia. ”