martedì 18 agosto 2015

195. Consumo del suolo

Ogni volta che, dopo una forte pioggia, si hanno allagamenti e esondazioni, i telegiornali forniscono informazioni di questo tipo:
negli ultimi anni il consumo di suolo in Italia è cresciuto a una media di 8 metri quadrati al secondo.”
La serie storica dimostra che si tratta di un processo che dagli anni cinquanta non conosce battute d’arresto; negli anni novanta la crescita era addirittura di 10 metri quadrati al secondo. La percentuale di suolo utilizzato è passata dal 2,7% del 1956 al 6,8% del 2010, con un incremento di 4 punti percentuali. In altre parole, sono stati consumati, in media, più di 7 metri quadrati al secondo per oltre 50 anni.

 
In termini assoluti, l’Italia è passata da poco più di 8.000 km2 di consumo di suolo del 1956 a oltre 20.500 km2 nel 2010.

Un aumento che non si può spiegare solo con la crescita demografica: se nel 1956 erano consumati 170 m2 per ogni italiano, nel 2010 il valore è raddoppiato, passando a più di 340 m2.

L’Italia ha una superficie di 301.328 km2. Il 23,2% è pianura, il 35,2% è collina e il 41,6% montagna. Per cui la superficie “consumabile” si riduce a poco più del 50%.
 


Un consumo di 8 metri quadrati al secondo corrisponde a 2 campi da tennis al minuto o 252 km2 all’anno. Questo significa che ogni 5 mesi viene cementificata una superficie pari a quella del comune di Napoli e ogni anno una pari alla somma di quella di Milano e Firenze.
 

Wikipedia alla voce “Coste italiane” riporta:
“lo sviluppo costiero della penisola italiana e delle sue isole si aggira sui 7.458 km.”
Le isole contribuiscono con una buona percentuale.

Questo valore è almeno il 50% maggiore della distanza che si deve percorrere per andare da New York a Los Angeles o da Mosca a Lisbona, ma se paragonato a strade ed autostrade si possono fare interessanti considerazioni.
 
Lo sviluppo costiero è all’incirca uguale alla lunghezza della rete autostradale. Mentre è poco più di un centesimo della totalità delle strade.
Il Comune di Roma è molto esteso (quanto nove grandi città). Infatti, con i suoi 1.286 km2 amministra un territorio grande come quello di Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Catania e Palermo messi insieme. L’insieme delle sue strade ha una lunghezza di circa 5.500 chilometri. Decisamente senza confronto rispetto ad altre città italiane (Bari 550 Km, Bologna 770 Km, Catania 600 Km, Firenze 750 Km, Genova 1.400 Km, Milano 1.500 Km, Napoli 1.090 Km, Torino 1.300 Km).





Il fatto che la totalità delle strade di Roma sia dello stesso ordine di grandezza dello sviluppo costiero italiano ha dell’incredibile e può in parte aiutare a capire come sia difficile prendersi cura del servizio della loro manutenzione.

Per concludere, vorrei citare un esempio abbastanza familiare.

L’isola di Manhattan (87 km2) è una piccola parte dell’intera New York (784 km2).
Le strade sono disposte a matrice: le Street orizzontali e le Avenue verticali.
Due Street e due Avenue definiscono un isolato (blocco).
In Manhattan ci sono 6.718 blocchi; un blocco standard è circa 264 x 900 piedi (80 m × 274 m), ma molti di questi hanno dimensioni inferiori.
 
 
 
 
Il numero di chilometri lineare delle strade è 814 km. Per l’intera New York si ha ancora un valore totale di chilometri paragonabile alla lunghezza delle coste italiane.
 
 
 
 
Tornando all’incipit di questo post, quello che non riesco a spiegarmi è il fatto che malgrado in Italia ci siano circa 58 milioni di abitazioni, praticamente una per ogni abitante, compresi i bambini ed inoltre da almeno un decennio sia in corso una forte deindustrializzazione, il consumo di suolo rimane praticamente costante. Forse, come suggerito da Renzo Piano, imporre il recupero delle aree dismesse (costruire sul costruito) è ormai diventato una necessità.
 
 
 
 
 

domenica 9 agosto 2015

194. Attraverso lo specchio


«È una marmellata ottima», disse la regina.
«Tanto oggi non ne voglio.», rispose Alice.
«Anche se tu ne avessi voluta, non avresti potuto averne», ribatté la regina. «La regola è marmellata domani e marmellata ieri, ma non marmellata oggi.»
«Ma prima o poi ci potrà essere marmellata oggi!», obiettò Alice.
«No.» replicò la Regina. «La marmellata c'è negli altri giorni; e oggi non è un altro giorno, come dovresti sapere.»
«Non vi capisco» disse Alice. «È spaventosamente confuso.» 

Lewis Carroll, “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò


Oggi parlerò di un posto dove nessuno è mai stato, in qualche modo ai confini della realtà, anzi oltre.
Malgrado non avessi ancora letto “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò” quando avevo all’incirca dieci anni, mi capitava spesso di pensare queste stesse cose e di fantasticare se ci fosse “veramente” qualche cosa dall’altra parte e se fosse esistito un modo di passare dall’altra parte. La spiegazione che mi davo era che se si tentava di far passare qualche cosa dall’altra parte l’oggetto speculare ostacolava sempre il passaggio…
Come in Alice oltre lo specchio, quello che volevo capire era fino a dove si poteva “vedere” e quanto fosse “reale” quello che stava dall’altra parte.
Ma il concetto principale è capire che esiste una sorta di “indeterminazione”:


 

In seguito Alice continua con alcune interessanti considerazioni e riesce infine a passare dall’altra parte dello specchio:

“Credi che ti piacerebbe stare nella Casa dello Specchio, micino? Chissà se ti darebbero il latte anche là? Forse il latte della Casa dello Specchio non è buono da bere... Ma adesso, micino, arriviamo al corridoio. Se si lascia spalancata la porta del nostro salotto, si vede un pezzetto di corridoio della Casa dello Specchio; e quel pezzetto è proprio uguale al nostro, ma il resto potrebbe anche essere diverso. Oh, micino, come sarebbe bello se potessimo entrare nella Casa dello Specchio! Sono sicura che ci sono tante belle cose là dentro!
Facciamo finta che ci si possa entrare, micino. Facciamo finta che il vetro sia morbido come un velo e che lo si possa attraversare. Ma guarda, adesso sta diventando come una specie di nebbia! Dev’essere facilissimo entrarci...
Alice si trovò sulla mensola del camino, mentre diceva così, sebbene non sapesse in che modo si fosse arrampicata lassù, e certo lo specchio cominciava a dissolversi, come una luccicante nebbia argentea. L’istante dopo, Alice passava attraverso lo specchio e vi saltava agilmente dentro. [..]
Poi cominciò a guardarsi intorno e notò che tutto ciò che poteva essere veduto dalla vecchia stanza era comune e poco interessante, ma che tutto il resto era completamente diverso. Per esempio, i quadri appesi alla parete accanto al camino sembravano vivi e perfino l’orologio sul caminetto (sapete bene che, nello specchio, se ne vede soltanto il dietro) aveva la faccia di un vecchietto e le sorrideva bonario.”

Lewis Carroll, da “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò
 



 
 
 
In un bel trattato che potete trovare qui, Odifreddi analizza in modo approfondito questo tipo di considerazioni e, tra le molte, una delle più interessanti è:

“Scendendo dal livello macroscopico a quello microscopico, l'equazione diSchrödinger mostra che ogni molecola può esistere in due forme (dette stereoisomeri) che sono una l'immagine speculare dell'altra: ad esempio, ci sono due tipi di zucchero, chiamati appunto destrosio e levulosio; e ci sono due tipi di morfine, uno dei quali è però completamente innocuo. La vita privilegia molecole, aminoacidi e DNA sinistrorsi, senza apparenti motivi ne’ a favore di questa scelta, ne’ contro quella opposta. Probabilmente, si tratta del risultato di un processo evolutivo che, a partire da un casuale inizio sinistrorso, ha lentamente preso il sopravvento ed esautorato l'alternativa destrorsa. Alice dubita, prima di passare attraverso lo specchio, che "forse il latte speculare non sarebbe buono da bere", e ha ragione: non solo avrebbe un gusto diverso, ma probabilmente non sarebbe neppure assimilabile. In un mondo di molecole destrorse, insomma, si morirebbe presto di fame.”

Oltre lo specchio le lancette dell’orologio girano in senso antiorario e i libri sono scritti all’incontrario. Però il tempo scorre come da questa parte, anche se un certo tipo di inversione temporale il reverendo Charles Dodgson (Lewis Carroll) l’aveva in mente: la Regina Bianca si ricorda il futuro ed il Cappellaio Matto è in prigione per un crimine che non ha ancora commesso.
E una volta arrivata dall’altra parte, Alice si accorge che molte delle “cose nascoste” sono effettivamente differenti, ma come detto all’inizio in questo posto nessuno è mai stato.

Anche in Fisica esistono “cose nascoste”, in questo caso, però, si è riusciti a capire cosa non si può conoscere o per meglio dire determinarne la misura.

Prima di proseguire devo raccontare un’altra storia.

 
Lo studio profondo della natura è la fonte
più feconda delle scoperte matematiche.
 
J. Fourier
 
 
Jean Baptiste Joseph Fourier nacque il 21 marzo 1768 ad Auxerre, antica cittadina collocata 150 Km a sud di Parigi.
Dopo la morte della prima moglie dalla quale ebbe tre figli, il padre Joseph si risposò e Jean Baptiste Joseph fu il nono dei 12 figli avuti dalla seconda moglie. Orfano di entrambi i genitori prima dei 10 anni, visse un paio d’anni con gli zii. Entrò nel 1780 alla Scuola Reale Militare, dove si formavano i futuri ufficiali dell’esercito francese. Studiò con passione di giorno e di notte, mettendo a dura prova la sua delicata costituzione (iniziò a soffrire di asma e insonnia), e nel 1783 vinse il primo premio della Scuola per il suo studio ‘Mécanique en général’.
Pensò di indirizzarsi verso la carriera ecclesiastica e, nel 1787, entrò come novizio nell’Abbazia Benedettina di St. Benoit-sur-Loire. In quegli anni era indeciso tra la vita religiosa e la ricerca matematica. Una sua lettera a Bonard, suo professore di Matematica ad Auxerre, fa tuttavia pensare che preferisse la ricerca matematica: ‘ieri ho compiuto 21 anni, a quest’età Newton e Pascal avevano già raggiunto l’immortalità’. Non prese i voti religiosi, forse per sua scelta, forse perché nel frattempo era scoppiata la Rivoluzione Francese con conseguente soppressione degli ordini religiosi. Tuttavia l’esercizio della vita monastica ebbe una notevole influenza sul suo stile di vita, e forse fu uno dei motivi per cui non si sposò. Dopo un anno di insegnamento della filosofia nel collegio parigino di Montaigu ritornò ad Auxerre dove, nel 1790, divenne assistente di Bonard nella stessa Scuola dove aveva compiuto gli studi.
Nella primavera del 1793, favorevole alle idee della Rivoluzione, iniziò a perseguire ideali politici. Aderì alla ‘Société Populaire’ di Auxerre e fu nominato in seguito membro del locale ‘Comité Révolutionnaire de Surveillance’, una sorta di polizia segreta. La sua coraggiosa condanna dei soprusi perpetuati da parte di un temuto rappresentante del popolo, gli attirò l’odio degli avversari politici. Volle andare di persona a Parigi per difendere tre padri di famiglia, vittime del terrore ad Orléans, di fronte allo stesso Robespierre. Probabilmente non lo convinse, dato che il 4 luglio 1794 fu arrestato, ma liberato il 28 per l’amnistia generale seguita alla caduta e morte di Robespierre.
Intanto era stata istituita a Parigi l’Ecole Normale, con l’intento di preparare i futuri insegnanti e Fourier fu scelto per seguire i corsi di Lagrange, Laplace e Monge.
Nel settembre 1794 fu nuovamente arrestato con l’accusa di essere stato un seguace di Robespierre. Si proclamò innocente nelle sue lettere dal carcere, e fu rilasciato senza essere neppure interrogato, non è chiaro se per intervento di Laplace, Lagrange o Monge, o per l’avvento di Napoleone.
Non è semplice delineare in poche righe la vita di Fourier. Fu di volta in volta professore, Governatore d’Egitto, Prefetto di Francia, amico di Napoleone.
Fu anche per molti anni Prefetto del Dipartimento di Isère. Questo ruolo lo costrinse a vivere, con sofferenza, lontano dal mondo scientifico parigino, costantemente impegnato a risolvere problemi burocratici e amministrativi. Fu solo con la caduta di Napoleone che cominciò la sua vita di scienziato e matematico a tempo pieno. Finalmente trasferito a Parigi e con un lavoro di scarso impegno in termini di tempo, poté finalmente redigere il trattato che lo rese poi celebre: ‘La teoria analitica del calore’. Nell’opera vengono introdotte tecniche matematiche per determinar le caratteristiche e le variazioni dei vari coefficienti. Fourier fece infatti uso di serie trigonometriche e della celebre trasformata, ancora oggi di fondamentale importanza in svariati campi, dalla musica, alla medicina, alla cristallografia, alla radioastronomia e alle telecomunicazioni.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita in precarie condizioni di salute, probabilmente a causa dell’ipotiroidismo, malattia contratta sin dai tempi dell’Egitto. Tutta la sua opera fu in realtà pionieristica, e oggigiorno è considerato il padre dell’analisi armonica.
Morì a Parigi a 62 anni, il 16 maggio del 1830, per un attacco cardiaco.
 
In matematica, in particolare in analisi armonica, la Serie di Fourier è una rappresentazione di una funzione periodica mediante una combinazione lineare di funzioni sinusoidali fondamentali. E’ quindi comprensibile lo scetticismo dei matematici contemporanei di Fourier. Egli affermava in sostanza, al contrario di quanto sosteneva l'Analisi Matematica, che una funzione discontinua potesse essere ottenuta come somma di funzioni continue, di sinusoidi appunto. Nasceva l’Analisi non Differenziabile. La scoperta coinvolse i maggiori matematici della prima metà dell’Ottocento; ad esempio, Lagrange nel 1807 non permise la pubblicazione del lavoro originario.
 
 
 
 
Il passaggio dalla serie all’integrale è la generalizzazione alle funzioni non periodiche; considerando infatti l’intervallo di periodicità come un piccolo intervallo oltre il quale la funzione si ripete in maniera identica, si può intendere una funzione non periodica come caso limite di una funzione periodica di periodo infinito. Per le funzioni non periodiche, gli ‘spettri a righe’ diventano ‘spettri continui’.
L’uso della trasformata consente di vedere un segnale come una sovrapposizione di infinite sinusoidi, con la conseguenza che per determinare come un sistema reagisce ad un dato segnale è sufficiente conoscere come reagisce alla generica sinusoide che compone il segnale e sommare poi i risultati parziali.
Essendo continua, la Trasformata di Fourier (FT) non è completamente gestibile da un calcolatore che, ovviamente, può trattare solo un numero finito di dati. Si utilizza quindi la procedura nota come ‘campionamento’ del segnale, che consiste nel prelevare il segnale solo in un numero finito di istanti, ad esempio ogni 0.1 msec.
Per questo nacque la Trasformata Discreta di Fourier (DFT) con il duplice obiettivo di definire una trasformazione che approssimasse il più possibile la FT e garantire che tale trasformazione fosse eseguita da un calcolatore.
Senza entrare troppo in dettaglio, si può dimostrare che è possibile esprimere gli spettri sotto forma dei parametri della DFT; tali spettri sono ovviamente a frequenza discreta.
Dalla seconda metà dell’Ottocento e per circa un secolo il problema dell’applicazione della trasformata di Fourier apparve associato al tempo di calcolo; la DFT richiedeva infatti un tempo altissimo, finché Runge nel 1903 descrisse per la prima volta la Trasformata Veloce di Fourier (FFT). Danielson e Lanczos nel 1942 ridussero ulteriormente il numero delle operazioni, partendo dall’osservazione di alcune simmetrie e periodicità. Ma la FFT divenne realmente popolare solo nel 1965, dopo che J.W. Cooley dell’IBM e J.W. Tukey dei Laboratori Bell Telephone di Princeton inventarono un algoritmo molto efficiente per il calcolo della DFT. Sembra che di fatto l’algoritmo fosse già stato scoperto e usato da Gauss nel XIX secolo.
Senza soffermarsi sui dettagli, il grande vantaggio è, che passando dalla DFT alla FFT, il tempo di calcolo divenne proporzionale non più a N2 (N ricordiamo è il numero di campioni), bensì a  N ln(N), con notevole vantaggio al crescere del numero di campioni.
 


Chiusa questa lunga parentesi torniamo alle “cose nascoste”.

Nel 1927 Werner Heisenberg riuscì a risolvere il problema con il suo Principio di indeterminazione:

In meccanica quantistica il Principio di indeterminazione di Heisenberg è un costituente fondamentale della teoria e stabilisce i limiti nella conoscenza, o determinazione, dei valori che grandezze fisiche coniugate assumono contemporaneamente in un sistema fisico.

Nella forma più nota viene espresso dalla relazione:


Nell’ambito della realtà formulata dalla teoria quantistica, le leggi naturali non conducono quindi a una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo.

In termini più generali, quando due grandezze fisiche, dette osservabili, non possono essere misurate entrambe nello stesso momento sono dette incompatibili.

Esempi di coppie di osservabili incompatibili sono:

·         posizione e velocità in una determinata direzione,
·         intervallo di tempo di un fenomeno e la sua variazione di energia,
·         componenti del momento angolare. 

La misura di ogni singola grandezza, può comunque essere determinata con precisione arbitraria.
Il prodotto delle incertezze di due misure incompatibili non può essere inferiore alla costante di Planck  h.
Mentre il principio di indeterminazione non si applica a tutte le possibili coppie di osservabili.
Ad esempio è sempre possibile, in linea di principio, misurare posizione e carica elettrica contemporaneamente e con precisione arbitraria. In maniera analoga, mentre il principio di indeterminazione si applica alla misura di  x  e della componente della quantità di moto lungo  x, questo non si applica alla misura contemporanea di x  e di  py.
Prendiamo come esempio una sinusoide di frequenza 3/T, troncata per un periodo lungo T (3 periodi della sinusoide).
 
 
 
Se la frequenza fosse 1000 Hz, T sarebbe 3 millisecondi. Ma essendo una sinusoide troncata, non sarebbe una sinusoide “pura”, cioè 1 sola frequenza; sarebbe invece la somma di uno spettro continuo di sinusoidi con varie frequenze di ampiezza differente. Facendo tendere all’infinito il valore di T, si ottiene di far tendere a zero l’intervallo delle frequenze, cioè ci si avvicina maggiormente al valore ideale di un’unica frequenza (delta di Dirac).

Lo strumento matematico comunemente utilizzato per eseguire questo tipo di analisi è la “trasformata di Fourier” vista in precedenza. Il motivo della vasta diffusione risiede nel fatto che si tratta di uno strumento che permette di scomporre un segnale generico in una somma infinita di sinusoidi con frequenze e ampiezze diverse; e successivamente permette di ricostruirlo tramite la formula inversa (antitrasformata). L'insieme di valori in funzione della frequenza, continuo o discreto, è detto spettro di ampiezza.

Per ora possiamo fermarci qui e magari riprenderemo qualcuno di questi argomenti in qualche post futuro. In questo caso si è parlato di Alice, di Fourier e del principio di indeterminazione. Forse si potevano fare 3 post o magari approfondire gli argomenti trattati; ad esempio la radioastronomia citata prima o gli spazi di Hilbert L2, che, un secolo dopo, riuscirono a fornire il corretto ambito in cui collocare i lavori di Fourier.

 
 

Anche Marylin Monroe in un’intervista espresse un concetto che aveva una certa relazione con l’indeterminazione:

Mi è capitato spesso di finire su un calendario. Ma mai per una data precisa.”