martedì 29 luglio 2014

157. Tartaglia

Un balbuziente entra in un bar: "Scu-scu-scusi, vo-vo-vorrei un ca-ca-caffè"
"Lo-lo pre-pre-preparo su-subito!"
"C-che fa mi-mi pi-pi-piglia in gi-giro?"
"No, ba-ba-balbetto a-a-anch’io"
Entra un altro cliente:         "Mi fa un caffè per favore?"
e il barista prontamente:    "Certo, lo preparo immediatamente"
il primo cliente innervosito: "A-a-allora, mi p-p-prende in gi-gi-gi-giro!!"
e il barista:                          “N-no, pi-pi-pigliavo in gi-giro l’altro!"


Ho sempre trovato illogica questa vecchia barzelletta (volendo anche un po’ scorretta) e mi ricorda le due storielline raccontate da Woody Allen nel film Io e Annie citate in fondo a questo post. Però, nella loro illogicità, hanno un certo non so che di vero.
 

Niccolò Fontana  detto  Tartaglia  (1499 – 1557)

Niccolò Fontana (nato a Brescia e morto a Venezia) rimase coinvolto negli scontri che avvennero durante la presa di Brescia da parte dei francesi nel 1512. Suo padre rimase ucciso e lui stesso, in seguito ad una grave ferita alla mandibola ed al palato, per tutta la vita ebbe evidenti difficoltà nell'articolare parole e venne così soprannominato Tartaglia.
 
Piazza del Duomo  (Brescia)        thanks GB

 Di estrazione sociale molto povera e senza nessuna scolarità, riuscì ad apprendere da autodidatta tutto ciò che gli serviva. Frequentò solamente un corso di scrittura per 15 giorni all'età di 14 anni e nonostante le numerose difficoltà Tartaglia riuscì persino a diventare professore di matematica ed insegnò a Verona dove rimase fino al 1534.


Risolse l'equazione cubica o equazione di terzo grado e nel 1556 scrisse il "General trattato di numeri et misure", opera enciclopedica di matematica elementare, dove compare il famoso "triangolo di Tartaglia". Anche il filosofo e matematico francese Blaise Pascal trattò di questo triangolo nel 1654, per cui nei in molti libri di testo è detto “triangolo di Pascal”. 
1

1          1

1          2          1

1          3          3          1

1          4          6          4          1

1        5        10       10        5        1

1        6        15       20       15        6        1


In algebra il triangolo di Tartaglia riguarda lo sviluppo della potenza n-esima di un binomio (con n intero e positivo):

(a + b)n     ad esempio     (a + b)4 = a4 + 4a3b + 6a2b2 + 4ab3 + b4
 
I numeri evidenziati in giallo: 1, 2, 6, 20, 70, 252, 924, 3432, 12870, 48620, …

Hanno la notevole proprietà che divisi per la sequenza di numeri: 1, 2, 3, 4, 5, 6, …

Danno come risultato:

1, 1, 2, 5, 14, 42, 132, 429, 1430, 4862, 16796, 58786, 208012, 742900, …

I termini di questa sequenza sono chiamati numeri di Catalan.

Molti problemi combinatori hanno come soluzione i numeri di Catalan.

Ad esempio:

il numero dei cammini in una griglia n x n che collegano due vertici opposti senza mai attraversare la diagonale. I cammini per n = 4 sono effettivamente 14.

 

 

Nota: sommando i coefficienti del triangolo per riga si ottengono le potenze di 2 (1, 2, 4, 8, ... ).
 

 
E io pensai a quella vecchia barzelletta, sapete... quella dove uno va dallo psichiatra e dice: "Dottore mio fratello è pazzo, crede di essere una gallina", e il dottore gli dice: "perché non lo interna?", e quello risponde: "e poi a me le uova chi me le fa?".
Be', credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo-donna.
E cioè che sono assolutamente irrazionali, ehm... e pazzi, e assurdi, e... ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova.
 
 
C'è una vecchia storiella. Due vecchiette sono ricoverate nel solito pensionato per anziani e una di loro dice: "Ragazza mia, il mangiare qua dentro fa veramente pena", e l'altra: "Sì, è uno schifo, ma poi che porzioni piccole!". Be', essenzialmente è così che io guardo alla vita: piena di solitudine, di miseria, di sofferenza, di infelicità e disgraziatamente dura troppo poco.
 
Io e Annie, 1977, Woody Allen
 

 
Altra barzelletta:

Impiegato:     "Nome?".
Cliente:          "Pie-pie-pie-pietro".
Impiegato:     "Ah, scusi, è balbuziente?".
Cliente:          "No, io no, parlo bene, mio padre è balbuziente e l'ufficiale dell’anagrafe
                        era un gran bastardo!".

 

sabato 26 luglio 2014

156. Le Cosmicomiche

La fisica quantistica non consente di definire la geometria dell’Universo durante i primi istanti della sua evoluzione (circa 5,4∙10−44 s), fino a quando le sue dimensioni non siano superiori alla lunghezza di Planck, circa 1,6∙10−35 m.
Secondo la teoria del Big-Bang l’Universo si sarebbe formato da una grande esplosione primordiale a partire da uno stato iniziale di altissima densità e temperatura, cui sarebbe seguita una rapida espansione.
Qui, però, essendo un periodo di vacanze, preferisco fornire la versione data da Italo Calvino in un racconto inserito nelle Cosmicomiche; dove tutto ebbe inizio quando la signora Ph(i)Nko decise di fare le tagliatelle.
 

-  Tutti in un punto   -

Si capisce che si stava tutti lì, – fece il vecchio Qfwfq, – e dove, altrimenti? Che ci potesse essere lo spazio, nessuno ancora lo sapeva. E il tempo, idem: cosa volete che ce ne facessimo, del tempo, stando lì pigiati come acciughe?
Ho detto «pigiati come acciughe» tanto per usare una immagine letteraria: in realtà non c’era spazio nemmeno per pigiarci. Ogni punto d’ognuno di noi coincideva con ogni punto di ognuno degli altri in un punto unico che era quello in cui stavamo tutti. Insomma, non ci davamo nemmeno fastidio, se non sotto l’aspetto del carattere, perché quando non c’è spazio, aver sempre tra i piedi un antipatico come il signor Pbert Pberd è la cosa più seccante. Quanti eravamo? Eh, non ho mai potuto rendermene conto nemmeno approssimativamente. Per contarsi, ci si deve staccare almeno un pochino uno dall’altro, invece occupavamo tutti quello stesso punto.
Al contrario di quel che può sembrare, non era una situazione che favorisse la socievolezza; so che per esempio in altre epoche tra vicini ci si frequenta; lì invece, per il fatto che vicini si era tutti, non ci si diceva neppure buongiorno o buonasera.

Era una mentalità, diciamolo, ristretta, quella che avevamo allora, meschina. Colpa dell’ambiente in cui ci eravamo formati. Una mentalità che è rimasta in fondo a tutti noi, badate: continua a saltar fuori ancor oggi, se per caso due di noi s’incontrano – alla fermata di un autobus, in un cinema, in un congresso internazionale di dentisti –, e si mettono a ricordare di allora. Ci salutiamo – alle volte è qualcuno che riconosce me, alle volte sono io a riconoscere qualcuno –, e subito prendiamo a domandarci dell’uno e dell’altro (anche se ognuno ricorda solo qualcuno di quelli ricordati dagli altri), e così si riattacca con le beghe di un tempo, le malignità, le denigrazioni. Finché non si nomina la signora Ph(i)Nko – tutti i discorsi vanno sempre a finire lì –, e allora di colpo le meschinità vengono lasciate da parte, e ci si sente sollevati come in una commozione beata e generosa. La signora Ph(i)Nko, la sola che nessuno di noi ha dimenticato e che tutti rimpiangiamo. Dove è finita? Da tempo ho smesso di cercarla: la signora Ph(i)Nko, il suo seno, i suoi fianchi, la sua vestaglia arancione, non la incontreremo più, né in questo sistema di galassie né in un altro.
Sia ben chiaro, a me la teoria che l’universo, dopo aver raggiunto un estremo di rarefazione, tornerà a condensarsi, e che quindi ci toccherà di ritrovarci in quel punto per poi ricominciare, non mi ha mai persuaso. Eppure tanti di noi non fan conto che su quello, continuano a far progetti per quando si sarà di nuovo tutti lì. Il mese scorso, entro al caffè qui all’angolo e chi vedo? Il signor Pbert Pberd. – Che fa di bello? Come mai da queste parti? – Apprendo che ha una rappresentanza di materie plastiche, a Pavia. È rimasto tal quale, col suo dente d’argento, e le bretelle a fiori. – Quando si tornerà là, – mi dice, sottovoce, – la cosa cui bisogna stare attenti è che stavolta certa gente rimanga fuori… Ci siamo capiti: quegli Z’zu…
Avrei voluto rispondergli che questo discorso l’ho sentito già fare a più d’uno di noi, che aggiungeva: «ci siamo capiti… il signor Pbert Pberd…».
Per non lasciarmi portare su questa china, m’affrettai a dire: – E la signora Ph(i)Nko, crede che la ritroveremo?
Ah, sì… Lei sì… – fece lui, imporporandosi.
Per tutti noi la speranza di ritornare nel punto è soprattutto quella di trovarci ancora insieme alla signora Ph(i)Nko. (È così anche per me che non ci credo). E in quel caffè, come succede sempre, ci mettemmo a rievocare lei, commossi, e anche l’antipatia del signor Pbert Pberd sbiadiva, davanti a quel ricordo.
Il gran segreto della signora Ph(i)Nko è che non ha mai provocato gelosie tra di noi. E neppure pettegolezzi. Che andasse a letto col suo amico, il signor De XuaeauX era noto. Ma in un punto, se c’è un letto, occupa tutto il punto, quindi non si tratta di andare a letto ma di esserci, perché chiunque è nel punto è anche nel letto. Di conseguenza, era inevitabile che lei fosse a letto anche con ognuno di noi. Fosse stata un’altra persona, chissà quante cose le si sarebbero dette dietro. La donna delle pulizie era sempre lei a dare la stura alle maldicenze, e gli altri non si facevano pregare a imitarla. Degli Z’zu, tanto per cambiare, le cose orribili che ci toccava sentire: padre figli fratelli sorelle madre zie, non ci si fermava davanti a nessuna losca insinuazione. Con lei invece era diverso: la felicità che mi veniva da lei era insieme quella di celarmi io puntiforme in lei, e quella di proteggere lei puntiforme in me, era contemplazione viziosa (data la promiscuità del convergere puntiforme di tutti in lei) e insieme casta (data l’impenetrabilità puntiforme di lei). Insomma, cosa potevo chiedere di più?
E tutto questo, così come era vero per me, valeva pure per ciascuno degli altri. E per lei: conteneva ed era contenuta con pari gioia, e ci accoglieva e amava e abitava tutti ugualmente.
Si stava così bene tutti insieme, così bene, che qualcosa di straordinario doveva pur accadere. Bastò che a un certo momento lei dicesse:
Ragazzi, avessi un po’ di spazio, come mi piacerebbe farvi le tagliatelle! – E in quel momento tutti pensammo allo spazio che avrebbero occupato le tonde braccia di lei muovendosi avanti e indietro con il matterello sulla sfoglia di pasta, il petto di lei calando sul gran mucchio di farina e uova che ingombrava il largo tagliere mentre le sue braccia impastavano, bianche e unte d’olio fin sopra il gomito; pensammo allo spazio che avrebbero occupato la farina, e il grano per fare la farina, e i campi per coltivare il grano, e i pascoli per le mandrie di vitelli che avrebbero dato la carne per il sugo; allo spazio che ci sarebbe voluto perché il Sole arrivasse con i suoi raggi a maturare il grano; allo spazio perché dalle nubi di gas stellari il Sole si condensasse e bruciasse; alle quantità di stelle e galassie e ammassi galattici in fuga nello spazio che ci sarebbero volute per tener sospesa ogni galassia ogni nebula ogni sole ogni pianeta, e nello stesso tempo del pensarlo questo spazio inarrestabilmente si formava, nello stesso tempo in cui la signora Ph(i)Nko pronunciava quelle parole: – …le tagliatelle, ve’, ragazzi! – il punto che conteneva lei e noi tutti s’espandeva in una raggera di distanze d’anni luce e secoli-luce e miliardi di millenni-luce, e noi sbattuti ai quattro angoli dell’universo (il signor Pbert Pberd fino a Pavia), e lei dissolta in non so quale specie d’energia luce calore, lei signora Ph(i)Nko, quella che in mezzo al chiuso nostro mondo meschino era stata capace d’uno slancio generoso, il primo, «Ragazzi, che tagliatelle vi farei mangiare!», un vero slancio d’amore generale, dando inizio nello stesso momento al concetto di spazio, e allo spazio propriamente detto, e al tempo, e alla gravitazione universale, e all’universo gravitante, rendendo possibili miliardi di miliardi di soli, e di pianeti, e di campi di grano, e di signore Ph(i)Nko sparse per i continenti dei pianeti che impastano con le braccia unte e generose infarinate, e lei da quel momento perduta, e noi a rimpiangerla.

(Italo Calvino, Le cosmicomiche, ed.Einaudi, 1965)


mercoledì 23 luglio 2014

155. I Solidi Ignoti

Rinunciando all’omogeneità delle facce, si ricavano i 13 solidi archimedei, con nomi più esotici dei solidi platonici (ad es. il dodecaedro camuso).

Alcune loro semplici proprietà sono:

-       le facce sono costituite da due o più tipi di poligoni regolari i cui vertici sono omogenei, cioè le cuspidi intorno ai vertici sono tutte identiche (sono ottenibili una dall'altra tramite rotazione);
 
-       gli spigoli di un poliedro archimedeo hanno tutti la stessa lunghezza.

Partendo dall'icosaedro e troncando le 12 cuspidi ad 1/3 della lunghezza dello spigolo, si ottiene l’icosaedro troncato.

Può capitare di trovare esempi di questo tipo di solido nei giochi per bambini sulle spiagge o più comunemente nei classici palloni da calcio.

 

 
L’icosaedro troncato ha 32 facce (divise in 20 esagoni e 12 pentagoni), 90 spigoli e 60 vertici, in ciascuno dei quali concorrono due esagoni e un pentagono.

I 20 esagoni derivano dai 20 triangoli (facce dell’icosaedro), mentre i 12 pentagoni sono ricavati dai 12 vertici dell’icosaedro (su ogni vertice insistono 5 facce).
Con semplici ragionamenti si possono anche ricavare il numero di spigoli e vertici.

 

I 13 solidi duali dei solidi archimedei sono detti poliedri di Catalan dal nome del matematico belga Eugène Charles Catalan.


Il poliedro duale dell'icosaedro troncato è il pentacisdodecaedro.

 

Il pentacisdodecaedro può essere ottenuto incollando piramidi pentagonali su ognuna delle 12 facce del dodecaedro. È un poliedro non regolare, le cui 60 facce sono identici triangoli isosceli.


Una ulteriore generalizzazione si ottiene con i 92 solidi di Johnson.

 
 
 

sabato 19 luglio 2014

154. I (Noti) Solidi Platonici

In questo blog è già capitato diverse volte di parlare di poliedri (e iperpoliedri) o delle loro sezioni:

    5. Sezioni di Cubo
  19. Ipertetraedro
  21. Dodecaedro e Cubo
  45. Solidi Platonici
  94. Sezioni di ipercubo
131. Tesseratto

Nel post 45 si sono visti brevemente i 5 solidi platonici e qui di seguito verranno viste alcune motivazione del perché proprio 5.
Verranno mostrati inoltre i collegamenti che consentono di mettere in relazione i vari solidi.
Un poliedro è, per definizione, un solido delimitato da un numero finito di facce piane poligonali. E’ possibile costruire un numero infinito di strutture.
I 5 solidi platonici (tetraedro · cubo · ottaedro · dodecaedro · icosaedro), sono composti da poligoni regolari congruenti (cioè sovrapponibili esattamente) e hanno tutti gli spigoli e i vertici equivalenti.



La dualità poliedrale, cioè la trasfigurazione di un poliedro in un secondo poliedro che presenta rispettivamente i vertici, gli spigoli e le facce corrispondenti alle facce, agli spigoli e ai vertici del primo e che presenta le conseguenti relazioni di incidenza fra questi tre tipi di oggetti, è una involuzione che:

-           trasforma tetraedri in tetraedri e
-           scambia cubi con ottaedri e dodecaedri con icosaedri.


Poliedro
Vertici
Spigoli
Facce
 
Facce
per ogni
Vertice
 
  
4
6
4
3
 
8
12
6
3
 

6
12
8
4
 
20
30
12
3
 
12
30
20
 
5


Questa trasfigurazione da un poliedro ad un altro può essere effettuata perché ad esempio cubo e ottaedro hanno lo stesso numero di spigoli, ma hanno il numero di vertici e di facce scambiato.

Più precisamente, ad ogni vertice, spigolo o faccia del primo solido corrisponde rispettivamente una faccia, spigolo o vertice del secondo, in modo che siano preservate adiacenze e incidenze.

Un poliedro regolare può essere costituito da triangoli, quadrati e pentagoni, ma non esagoni, ecc. Questo perché su ogni vertice devono insistere almeno 3 facce e nel caso dell’esagono con 3 poligoni si forma un angolo di 360 gradi, non permettendo di formare un solido convesso.

Lo stesso discorso vale per 4 quadrati e per 6 triangoli.
Quindi l’unico poligono che può avere più di 3 facce per ogni vertice è il triangolo.

Il quadrato, il cubo e gli ipercubi in n dimensioni, sono le forme geometriche più intuitive. Se il lato di ogni faccia ha un valore unitario, ogni superfice, volume, ecc. vale sempre 1. Inoltre tutti gli spigoli sono ortogonali tra di loro.

Gli altri solidi platonici possono essere costruiti partendo dal cubo.
E’ interessante vedere come.


Dal Cubo al Tetraedro         e        Dal Cubo all’Ottaedro

6 sono le facce del cubo e 6 gli spigoli del tetraedro.
Tracciando in modo opportuno le 6 diagonali delle 6 facce, si ottiene un tetraedro.

6 sono le facce del cubo e 6 i vertici dell’ottaedro.
Congiungendo i punti centrali delle 6 facce del cubo (come in figura), si ottiene un ottaedro.

 
 

Dal Cubo al Dodecaedro

12 sono gli spigoli del cubo e 12 le facce del dodecaedro.
Per costruire un dodecaedro partendo dal cubo, cominciamo col mettere un tetto, dove i segmenti di colmo e displuvio sono uguali a 0,618 L (lato del cubo).
Per la precisione il rapporto tra i due segmenti è la ben nota Sezione Aurea.
 

Se ora costruiamo un tetto su ogni faccia del cubo otteniamo il dodecaedro cercato.

 


Dal Cubo all’Icosaedro

Un icosaedro si può costruire partendo dal suo duale dodecaedro, come mostrato nella prima figura. Si può comunque ricavare dal cubo tracciando dei segmenti su ogni faccia come mostrato in figura, unendoli in seguito in modo opportuno.

Anche in questo caso il rapporto tra questi segmenti e il lato del cubo è ancora la Sezione Aurea.

 

 

Come già ricordato nel post 45, in uno spazio a quattro dimensioni esistono 6 politopi regolari, mentre da cinque dimensioni in su ne esistono solamente 3 (gli analoghi di cubo, tetraedro regolare e ottaedro regolare).
Naturalmente nello spazio bidimensionale i poligoni regolari sono invece infiniti.


Dimensione
Numero di Politopi
2
Infiniti                poligoni
3
5             solidi platonici
4
6          policori convessi
5
3      5-politopi convessi
6+
3

 
L’animazione seguente è stata presa da:   http://it.wikipedia.org/wiki/Dodecaedro




http://www.qedcat.com/archive/169.html
http://cage.ugent.be/~hs/polyhedra/dodeicos.html
http://users.belgacom.net/gc169763/Platonic_Compounds/Platonic_Compounds.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_dei_politopi_regolari